mercoledì 20 aprile 2016

I "no" che aiutano a crescere

Argomento quanto mai scottante al giorno d'oggi. Viviamo un'epoca in cui l'educazione è diventata chimera e azione quanto mai difficile. I genitori hanno perso l'antica fisionomia di adulti-modelli di riferimento e sono diventati "distributori di servizi". Lungi da me generalizzare, vivaddio esistono ancora ottimi genitori e ho il piacere di partecipare all'educazione dei loro figli. E non è impossibile imbattersi in ragazzi decisamente equilibrati, educati e intelligenti. Ma riferiamoci a quei figli che non hanno modelli di riferimento "forti".
Cosa si è rotto nel meccanismo di questi nuclei? Essere genitori è impresa difficile, ancora di più se il nucleo familiare si sfascia, per lasciare il posto ad uno strano ibrido, nel quale apparentemente i genitori sono punti di riferimento perché concordi su ciò che i figli devono "fare", ma poi si perdono totalmente quando c'è da affrontare un'emergenza o un problema che sta man mano indebolendo la crescita e la maturità dei loro figli o di uno in particolare. Subentra la recriminazione, anzitutto, come valvola di sfogo da parte di uno o di entrambi, che usano il problema per ricordare all'altro quanto è incompetente o inadeguato, poi, la maggior parte delle volte, uno dei due si rimbocca le maniche e cerca di rimediare al problema, accorgendosi al contempo di essere completamente isolato, perché l'emergenza dall'altro genitore non viene ritenuta tale, oppure perché ci si sente semplicemente inetti nell'affrontarla. Cosa resta ad un genitore che si trova dinanzi ad un caso simile?

Dire di NO. Imporre la propria autorità e autorevolezza, rimarcare la propria identità di adulto-educatore e non semplice dispensatore di servizi. Già... e come si fa?
Dal web: Perché tanti genitori oggi sono del tutto o quasi del tutto reticenti nell'imporre un NO, perché i NO sono difficili, sono impegnativi, scatenano le proteste del recalcitrante figlio, obbligano ad una coerenza cui non ci si può più sottrarre. Il coraggio del NO è un lusso riservato a pochi e maturi genitori, che sanno tener fede al loro ruolo fino in fondo, senza temere conseguenze, puntando sull'obiettivo senza fermarsi a pensare. Il NO è lo strumento educativo fra i più utili, ma è anche il più impegnativo da usare. Con un NO non si scherza, perché ti obbliga a essere serio e maturo.
Importante quindi soffermarsi sul ruolo e il tipo di adulto “necessario” alla crescita e formazione personale e sociale del bambino. C’è bisogno di un adulto “capace”, cioè di un uomo che accoglie e combina le rappresentazioni che l’esperienza gli ha consentito di fare, che sappia intervenire, modificare e dare un nuovo indirizzo alla propria esistenza e che sappia “essere” punto di riferimento, di identificazione, di scontro/confronto, di speranza per i più piccoli.

Necessario pertanto far crescere i proprio figli con i NO detti al momento giusto, fin da piccoli. Un bambino al quale si comprano vestiti e giocattoli, con cui non si ha che questo tipo di "dialogo", che non si vede vietato pressochè nulla, che viene ipercoccolato e viziato, sarà un adolescente implacabilmente refrattario ad ogni tentativo di imporre una regola. E l'errore sarà proprio lì, nel dover pensare di "imporre" anzichè arrivare ad un dato comportamento senza bisogno di battaglie, compromessi e vicissitudini varie.

Eppure, i genitori seriamente intenzionati a essere tali, non si spaventano neppure dinanzi a battaglie, compromessi e vicissitudini. Non sopporto l'idea che esistano genitori che accettano pedissequamente il comportamento dei propri figli, arrendendosi senza fare nulla. Ci vedo una forma di fallimento molto grave, la perdita di un'opportunità relazionale importante, e soprattutto il non fare il bene del proprio figlio, per totale inettitudine. Molti genitori preferiscono non "sporcarsi le mani", per quieto vivere. E poi vengono a disperarsi dinanzi a noi insegnanti.
Ci sono semplici regole da far rispettare, e nelle quali far crescere i propri figli. Che non possono essere al centro dell'esistenza tutta, ma essere in un ipotetico centro assieme ai genitori, e alle persone importanti. In questa sorta di spazio vitale il bambino deve sentirsi protetto e amato, ma anche educato ad accettare le regole, a rispettare chi le sta somministrando. Insomma, i genitori e i parenti più prossimi hanno un lavoro di "costruzione" del Sé del piccolo. Il bambino anche nella sua fase più delicata, quella adolescenziale, non perderà in realtà mai di vista i propri modelli di riferimento, se è stato fatto un buon lavoro. Ho esempi di genitori davvero in gamba in questo. Così come esempi di genitori separati che hanno continuato a essere punti di riferimento, in due case diverse, in due realtà diverse, per i figli, che accettano questa specie di "patto".
E molti altri invece, distratti, superficiali, inetti, che hanno perso totalmente di vista il proprio ruolo di educatori, se mai ne hanno avuto uno.
Cosa pensate del problema della deriva educativa di questo nostro presente? 

6 commenti:

  1. Penso anch'io che i "no" abbiano un'importanza fondamentale nell'educazione, sia per definire dei limiti che per predisporre delle possibilità, delle alternative. Quotidianamente, a scuola, si vedono scenate (anche di persone che la carta di identità dichiara adulte) che chiaramente derivano dall'assenza di qualsiasi barriera: lo studente che si alza e se ne va in giro senza permesso, quello che mangia in classe, quello che non accetta un'osservazione o l'invito a restare in silenzio fino al proprio turno di intervento (e sono solo casi molto edulcorati di quanto si può sperimentare a scuola) non sono mai stati abituati ad attendere, a rispettare gli spazi degli altri, a riconoscere figure da prendere come riferimento. Di conseguenza pensano che le regole e chi le rappresenta siano dei limiti alla loro libertà di espressione, anziché la garanzia di permettere a tutti equità e rispetto. Il ruolo-chiave spetta indubbiamnete ai genitori, dato che in 4-5 ore di una mattinata e con 30 alunni concentrati insieme non è possibile ripristinare basi assenti, ma, al massimo, provare piccole correzioni. Chi è stato educato ai "no" soffre questa situazione più di tutti, per cui deve essere chiaro che la battaglia per un'educazione rigorosa non è un vizio dei docenti che vogliono dei soldatini, ma una reale necessità per il bene sociale.

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    1. Sì, si tratta di "tempi", di non saper aspettare, di affastellare la propria presenza su quella altrui. Di dominare, di "esserci" ma in modo troppo spesso inappropriato.
      Sto notando sempre più questo aspetto, lo osservo anche nei miei laboratori di teatro. La mia voce spesso viene coperta da un'osservazione non tempestiva per quanto pertinente. Non sanno attendere, devono sgomitare per esistere.
      L'ascolto, il soffermarsi, sono merce ormai molto rara.

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  2. Bellissimo articolo che ho apprezzato molto visto che si parla così sempre poco o male sulla buona e doverosa educazione dei bambini.Complimenti!

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    1. Grazie, Michela, per averlo letto e apprezzato.

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  3. Non ho esperienze dirette, ma concordo totalmente con quanto scritto da te e, nel commento, da Cristina. Mi rattrista parecchio sentire parlare del "vuoto" dei ragazzi più giovani come se fossero una specie nata così... Quando la valutazione di una tematica diventa un problema generale, tutti siamo coinvolti, il nucleo famigliare in primis. I ragazzi e i bambini sono troppo protetti dall'esterno, ma non curati perché diventino persone autonome, coraggiose, insomma che sappiano mettersi in gioco e rispondere di ciò che fanno.
    I "no" sono la base educativa che permette, secondo me, la vera libertà e costruzione della persona. Poche regole, ma indiscutibili. Supportate da comunicazione, soprattutto.
    Credo che oggi si abbia una misura del tempo assai errata: tutto va veloce, troppo, lo vedo anche per i bambini molto piccoli oberati dalle mille attività extra-tutto. Opportunità o parcheggi (a volte e nell'eccesso, si capisce)?
    Un post veramente interessante *_*

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    1. Grazie, Glo. Il problema è che il "no" richiede impegno. E per tutto ciò che è impegnativo non si ha voglia né tempo.
      È una deriva in tutti i sensi.

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